Convegno "Costruzione e percezione delle entità ibride e mostruose nelle culture del Mediterraneo Antico"

8-9-10-11 giugno 2011

Museo delle Religioni “Raffaele Pettazzoni” - Velletri (Roma)

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Presentazione. Quasi un editoriale

ALAStoR non è una rivista on-line, o web magazine, come ce ne sono tante. Non perché sia migliore, o particolarmente originale. Semplicemente, non è una rivista. ALAStoR vuole – anzi, vorrebbe: se il tempo non la farà sparire precocemente negli anfratti bui della Rete, nell’oblio telematico dove si raccolgono gli scarti di un’informazione sempre più rapida e sovrabbondante – essere una raccolta di “appunti”, frammenti d’idee, quasi note di viaggio. Schegge di una comunicazione consapevolmente parziale, stralci di una trasmissione volutamente interrotta. Testi che difficilmente aspirino alla dignità di articolo, che non di molto si discostino dalla limitatezza della nota a piè di pagina. Non è solo una questione di lunghezza. O di quantità. In un mondo che va veloce, dove la tecnologia annulla le distanze – ma richiede sempre nuove competenze – semplificando la vita alle persone – che hanno quindi più tempo per complicarla ulteriormente – pochi rapidi accenni, purché suffragati da fatti, testimonianze, documenti, possono forse sopperire, non certo sostituire, tante parole sensate, utili o piacevoli che quotidianamente si disperdono, amalgamandosi e confondendosi, come gocce nel ridondante oceano mediatico.

Gli ingredienti sono già nell’acrostico. Argomenti genericamente letterari: quelli solitamente rubricati alla voce “cultura” in quotidiani e riviste cartacei, negli approfondimenti televisivi o informatici; uno sguardo antropologico: che cerchi di cogliere, anche in notizie d’attualità o di costume, motivi e modi di “produrre cultura” propri dell’animale uomo; infine, il metodo storico-religioso: che riconduca i molteplici, non sempre facilmente comprensibili, comportamenti umani all’incessante processo di pensieri, azioni e comportamenti che si concretizza nella Storia. Ogni “appunto” reca una data, un luogo, nel tentativo di fermare – come in un diario di viaggio, un giornale di bordo – memorie di eventi e fatti che gli estensori ritenevano degni di scrivere, e soprattutto di condividere, e che i presunti, potenziali lettori hanno ritenuto utile, o piacevole, conoscere. Se state leggendo queste righe, ne siete la prova. La sfida è aperta. Queste pagine sono mie, sono vostre. Sono nostre.

ALAStoR

 

La divinazione greco-romana, questa (s)conosciuta

 

appunto di Alberto Cecon

 

Siena, 1 settembre 2010 

Segnaliamo l’uscita di un agile e utile volumetto dedicato alle pratiche divinatorie. Utile per chi volesse avere a portata di mano un’agevole panoramica delle tecniche mantiche dell’antichità classica: dal lettore inesperto ma curioso di questo affascinante campo d’indagine, allo studente in cerca di approfondimenti, allo specialista che se ne occupi per studio e ricerca. Mentre i primi troveranno una rassegna relativamente concisa delle diverse tecniche, quest’ultimo non mancherà di apprezzare il libro in quanto strumento di rapido controllo o verifica che gli consenta d’individuare rapidamente le fonti e la letteratura secondaria riguardo un preciso argomento. Agile, per il formato tascabile e la praticità della consultazione. Il testo è infatti strutturato come un glossario – compreso tra i due estremi Acridomanzia e Zoomanzia – che non presenta certo particolari novità o inedite interpretazioni delle pratiche divinatorie, ma costituisce uno strumento piuttosto maneggevole che facilita e anzi invoglia la consultazione anche occasionale – e già questo ci sembra un rispettabile punto a favore. La letteratura scientifica sul tema è notoriamente abbondante. Basti citare “classici” come l’Histoire de la divination dans l’antiquité di Bouché-Leclercq o studi più recenti e specifici come la raccolta Mantikê. Studies in Ancient Divination curata da S.I. Johnston e P.T. Struck, passando per il sempreverde lavoro collettivo curato da J.-P. Vernant, Divinazione e razionalità.

L’indispensabile Premessa è piuttosto snella – 26 paginette divise in 8 rapidi paragrafi – ma abbastanza precisa, e ricca di riferimenti bibliografici. Dopo le iniziali, generali definizioni, si punta giustamente l’accento sulla figura dell’interprete (ma dovremmo dire “interpreti”, vista la molteplicità di pratiche e di contesti storico-culturali interessati) e sulla «difficoltà di sciogliere l’ambiguità del segno» (p. 12) (ancora, diremmo meglio “dei segni”). L’attenzione si sposta quindi subito sulla distinzione, già antica e tuttora operativamente valida, tra divinazione “naturale” e “artificiale”. Dal dibattito tra i due tipi di mantica, alle dottrine sulle entità demoniche quali “intermediari” tra mondo divino e umano, il passo è breve, almeno sulla pagina. Il richiamo a Platone e soprattutto ai Neoplatonici porta con sé il discorso sulla sympátheia, il «principio che governa il cosmo» (p. 20). Meriterebbe forse più spazio e un maggiore approfondimento il problema della “iniziazione”, intesa qui, in modo forse un po’ troppo generico, come superamento dei limiti della condizione umana (p. 25) e acquisizione di poteri straordinari (p. 27), di cui il modello proposto è quello di Tiresia. Il tema della bisessualità è affrontato nel successivo paragrafo, dove l’accostamento di motivi complessi – la doppia metamorfosi di Tiresia, la «nostalgia del ritorno all’Uno [...] nella speculazione pitagorica della monade ermafrodita», gli «evirati devoti della dea Cibele» – risente non poco della necessità di concisione del testo. La trasmissione del sapere (di nuovo, preferiamo il plurale, “saperi”) magico-divinatorio (l’espressione qui è nostra, ma riflette la sintesi dell’esposizione) e il pericolo che venga divulgato ai «profani» (p. 30) ricorda e in certo qual modo implica le note pagine della Teoria generale della magia del Mauss, alle quali il volume correttamente rinvia in sede bibliografica. L’ultimo paragrafo è tra i più interessanti, gettando uno sguardo sul rapporto – ancora in gran parte da indagare – tra la magia-divinazione e i periodi storici «d’inquietudine sociale e politica» che «corrispondono ad una rigogliosa fioritura della mantica con i suoi operatori» (pp. 32-33). Un discorso ampio e delicato, come si può intuire facilmente. Ridurre la trattazione in poche pagine, per quanto rispettabili e degne di attenzione, rischia d’indurre l’idea che il non del tutto risolto problema storico della repressione del “magico” vada attribuito, semplicisticamente, a «un momento di disorientamento, come la svolta costantiniana del IV sec. d.C.».

Il lettore più esigente potrebbe essere forse disturbato, di tanto in tanto, da qualche espressione o conclusione eccessivamente generica o da una terminologia non sempre rigorosissima, che risentono delle sopra citate esigenze espositive. Il paragone, ad esempio, tra i rischi interpretativi ai quali vanno incontro gli indovini e la Sfinge che «non può che divorare l’avversario o, se battuta, precipitarsi nell’orrido abisso» (p. 10) suona più letterario che improntato a criteri di divulgazione storica. Espressioni ridondanti e felicemente drammatiche come «il dio non consente che i margini dell’Altrove siano squarciati del tutto, mentre l’uomo da parte sua intende ostinatamente penetrare oltre la cortina dell’incomunicabilità» avvolgono in un affascinante alone di “mistero” quello che è un fondamentale problema storico-religioso, antropologico o, in termini più generici, culturale: la “costruzione”, l’utilizzo e – in vista di un auspicabile ma spesso problematico dialogo del mondo moderno con l’“antichità” – la rielaborazione di numerose, sofisticate e funzionali (potremmo addirittura dire: “funzionanti”, in prospettiva antropologica) tecniche divinatorie. Chiude il volume una puntuale e aggiornata Bibliografia che tradisce la preparazione dell’Autore, papirologo specializzatosi (in sede di dottorato di ricerca) nella palmomanzia, nel cui ambito ha pubblicato il Corpus Palmomanticum Graecum (‘Papyrologica Florentina’ XXXIX, Firenze 2009).

 

Scheda

Salvatore Costanza, La divinazione greco-romana. Dizionario delle mantiche: metodi, testi e protagonisti, Udine, Forum 2009, pp. 192

 

Letture correlate

A. Bouché-Leclercq, Histoire de la divination dans l’antiquité, New York, Arno Press 1975 (Paris, Culture et Civilisation, 1879-1882)

S.I. Johnston, P.T. Struck (a cura), Mantikê. Studies in Ancient Divination, Leiden, Brill 2005

J.-P. Vernant, Divinazione e razionalità. I procedimenti mentali e gli influssi della scienza divinatoria, Torino, Einaudi 1882 (Divination et Rationalité, Paris, Editions du Seuil 1974)

 

 

Il ritorno dello stregone

appunto di Alberto Cecon

Siena, giovedì 12 agosto 2010

È in uscita in questi giorni nelle sale italiane il film fantasy L’apprendista stregone (The Sorcerer’s Apprentice, USA, 2010, regia di Jon Turteltaub, con Nicolas Cage, Alfred Molina, Jay Baruchel, Monica Bellucci, produzione Walt Disney Studios) [sito ufficiale in inglese e in italiano] Anche ignorando che si tratta di una produzione Disney, il pensiero corre subito al “classico” lungometraggio d’animazione Fantasia (Fantasia, USA, 1940, registi vari, produzione Walt Disney Productions), un episodio del quale vede Topolino alla prese con scope e secchi d’acqua che prendono magicamente vita ma sono difficili da controllare [vedi immagine]. Il film è infatti una riproposizione, fortemente voluta dall’attore Nicolas Cage, che veste i panni dello “stregone” Balthazar Blake (e tra le cui passioni, o ossessioni, [vedi articolo] spiccano quelle per i fumetti e per la saga di Re Artù... e naturalmente per i film Disney) proprio di questa celebre sequenza, alla quale paga un doveroso debito di riconoscenza – quasi un’auto-citazione – nelle scene in cui l’inesperto apprendista fa il verso all’altrettanto imbranato (ma più famoso) “collega” Micky Mouse [confronta le sequenze].

Se dal film è facilissimo risalire al suo immediato referente, è forse meno ovvio (cioè, meno noto) il “testo” che ha ispirato entrambi (uso il termine “testo” nell’accezione ampia, quale si usa in linguistica o semiologia, di «enunciato complesso, orale o scritto, la cui struttura non può essere immediatamente interpretabile sulla base di quella delle frasi che lo costituiscono, ma che tuttavia presenta proprietà peculiari, quali, essenzialmente, la compattezza morfosintattica e l’unità di significato, tali da permettere di considerarlo come un’entità unitaria, come avviene, per es., per una conversazione telefonica»: definizione del Vocabolario Treccani on-line). Come forse non tutti sanno, l’episodio del lungometraggio Disney costituisce l’adattamento cinematografico dell’omonima ballata di Wolfgang Goethe (1749–1832), Der Zauberlehrling, del 1797 [leggi l'originale con trad. inglese o in trad. italiana]. Esattamente un secolo più tardi, nel 1897, l’opera di Goethe ispirò il poema sinfonico L’apprenti sorcier del compositore francese Paul Dukas (1865–1935), le cui musiche costituiscono proprio l’indimenticabile colonna sonora delle disavventure magiche dell’impacciato topo antropomorfo (giustamente riutilizzate anche nel nuovo film).

Fin qui, niente di strano: è un tipico esempio di riutilizzo di “prodotti” della cultura “alta” (o “colta”) da parte della cultura “di massa” (uso queste definizioni senza convinzione, a puro scopo divulgativo). Ma a chi dobbiamo la divertente – e, forse anche per questo, fortunata – idea dell’apprendista stregone? Se facciamo un ulteriore passo indietro, in questa ricerca del “modello”, scopriamo che la figura dell’incauto discepolo di arti magiche non è un’invenzione di Goethe, ma risale a molto prima della fine del ’700. L’autore tedesco si è infatti ispirato a un episodio, peraltro piuttosto breve, dell’istruttivo non meno che divertente dialogo Gli amanti della menzogna o l’incredulo (Philopseudeis he apiston) di Luciano di Samosata (120 circa–dopo il 180 d.c.). Riportiamo il passaggio principale del testo: Luciano, Philopseudeis 52 (34), 33-36 [in pdf].

Non è il caso, in questa sede, di soffermarci sulla figura di Luciano. Non è questo lo scopo del presente “appunto”: uno scopo ben misero sarebbe, quando anche il più sprovveduto navigatore del web può farsi un’idea sostanzialmente corretta – benché approssimativa e certo non carente di inesattezze ed errori – con un paio di click. Basterebbe citarlo, nella speranza che il lettore che non conoscesse questa geniale figura di retore, scrittore, conferenziere e avvocato siriano di lingua greca (nonché ambasciatore a Roma e segretario della cancelleria imperiale in Egitto), che viaggiò tra l’Asia Minore e la Gallia, tra la Grecia e l’Italia, ne fosse incuriosito e – apoteosi della gratificazione di chi scrive – indotto a documentarsi in modo più approfondito. Troppo bello sarebbe se il lettore, non pago di queste righe, memore delle sequenze del lungometraggio Disney e delle belle musiche, mentre si appresta a vedere (o ha già visto) il promettente – almeno dal punto di vista visivo: la trama, ormai sappiamo, è vecchiotta – fumettone cinematografico, provasse il desiderio di (ri)scoprire il testo originale e il suo autore.

Non posso però esimersi dall’aggiungere qualche nota. Nonostante il tono sarcastico che caratterizza le opere di Luciano – un sarcasmo che sa stemperarsi in divertita ironia, così come raggiungere vette di caustica irriverenza – l’episodio narrato da Eucrate (e riferito dal protagonista del dialogo, lo “scettico” Tychiades) non sembra un semplice divertissement. L’interesse per il mondo della “magia” (anche qui, il termine è usato in modo generico) è tutt’altro che assente nella opera lucianea, come testimoniano molte sue opere a partire dallo straordinario Alessandro o il falso profeta (Alexandros he pseudomantis), lucidissimo e “modernissimo” atto d’accusa contro le imposture e i raggiri, finalizzati all’acquisizione di ricchezza, ma anche di potere e prestigio (non da ultimo, politico), dei tanti “maghi” che imperversavano all’epoca del retore di Samosata. Come l’Alessandro di Abonuteikos ora citato, fondatore del culto del dio-serpente Glykon, oppure il celeberrimo Apollonio di Tyana, la cui vita (romanzata) piena di aneddoti meravigliosi ed eventi “sovrannaturali” ci è stata trasmessa da Filostrato [vedi libro]. Storia vecchia, ma sempre attuale. Illuminante, e a tratti esilarante, è inoltre il ritratto del “mago caldeo” Mithrobarzanes tratteggiato da Luciano nel dialogo Menippo o la necromanzia (Menippos he nekuomanteia).

L’importanza di Luciano non risiede tuttavia soltanto nella sua polemica “anti-magica” (un atteggiamento che per il mondo latino possiamo accostare, con molte distinzioni, a quello di Plinio (23-79 d.c.), l’autore della Naturalis Historia, l’enciclopedia del mondo latino le cui pagine contengono feroci, ripetuti attacchi alla “magia”. Opportunamente contestualizzate, ricondotte cioè al contesto storico-culturale cui appartengono, le opere di Luciano presentano diversi motivi d’interesse. Un paio d’esempi in tema. Negli stessi anni di Luciano operava un altro interessantissimo personaggio, Apuleio di Madaura (125–170 circa), anche lui retore e conferenziere, ma che, al contrario, non disdegnava di definirsi “mago”. Nella sua Apologia (o De magia), il testo (riveduto e corretto) con il quale si difese in tribunale dall’accusa di “magia”, indica quest’ultima come la più alta forma di filosofia. Per rafforzare la sua tesi – e salvare la pelle – cita con felice facondia Platone e Aristotele. La cultura non è acqua. Ma quanto diversa è la sua posizione da quello che la critica moderna ha spesso definito, anacronisticamente ma non del tutto a torto, il “razionalismo” di Luciano.

Un ultimo “appunto”, infine, ci riporta alla figura dell’“apprendista stregone”. Quello dell’“assistente” del “mago” è un ruolo che il mondo antico conosce bene. È infatti attestata a livello documentario la figura del páredros, l’aiutante chiamato a svolgere le piccole ma indispensabili incombenze che le pratiche “magiche” richiedono. Piuttosto che “chiamato”, dovremmo dire “invocato”. Il páredros può essere infatti un’entità sovrannaturale, uno “spirito” o meglio daímon – la cui resa moderna con “dèmone” è parzialmente fuorviante – che il “mago” evoca con opportuni rituali, diffusamente descritti dai numerosi Papiri Greci Magici, straordinaria raccolta di formulari per operazioni magiche le più diverse – dall’ottenimento dei favori della persona amata (le “fatture erotiche”) a rituali a scopo divinatorio anche di tipo necromantico [vedi mio articolo]. Bastino, infine, questi pochi e disordinati cenni per suggerire come, dietro un prodotto mediatico finalizzato all’intrattenimento (il film dal quale abbiamo preso le mosse), possa celarsi un mondo di suggestioni e rimandi che provengono da tempi e contesti lontani, e non necessariamente “tranquillizzanti”, che la cultura ricorda, riconosce, riutilizza, anche a dispetto dei singoli lettori e spettatori di ieri e di oggi.


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Autori

Alberto Cecon


Appunti

- Il ritorno dello stregone

- La divinazione greco-romana, questa (s)conosciuta


Materiali

Luciano, Philopseudeis

 

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